L’ingrediente segreto per la ri-crescita

In Featured, Ispirazioni

In Italia ci sono 4 Milioni di PMI. Il 35% di esse esiste dal dopoguerra. “Fino alla fine” è il credo dei tanti imprenditori che ogni giorno si mettono all’opera. Vanno al lavoro perché stanno operando per la comunità in cui vivono. Non mollano per nessuna ragione. Bisogna ripartire da lì, dalle imprese che ci sono già e lavorano per il bene comune.

INTRODUZIONE

C’è un grande implicito che fa parte della discussione economica contemporanea. Una visione del mondo che sta condizionando molte delle scelte di politica industriale. Si tratta di un’impostazione che sostanzialmente enfatizza il primato dell’innovazione radicale di prodotto su quella incrementale o di processo. E’ sul successo di questo approccio, ad esempio, che si impone il credo di chi vede nell’ascesa di nuove startup l’unica possibile strada per la crescita economica. Tabula rasa: questo è il diktat di tanti guru della crescita.

RESTART o STARTUP?
Parliamo di 4 Milioni di PMI italiane: un patrimonio da recuperare o un fardello da cancellare?

Oggi vi raccontiamo una storia che fa riflettere sul valore “nascosto” che andrebbe perso nel caso di un cieco perseguimento di questa strategia industriale. Ne emerge una proposta fuori dal coro: rivitalizzare le nostre PMI attraverso l’infusione di nuove competenze che consentano di vincere le sfide contemporanee. Restart, insomma: sostenere la crescita attraverso il rinnovamento del tessuto produttivo esistente.

[INTERVISTA] La pelle dell’imprenditrice

“Salve, le ho chiesto un appuntamento perchè volevo conoscervi prima di fare una quotazione”.

Iniziamo a parlare. Il consulente, sulle sue all’inizio, comincia a sbottonarsi quando gli chiedo dell’azienda e di capire qualcosa in più di questa modalità non comune. E’ una conceria, scherziamo sull’odore, un pò meno sul fatto che la città non la vuole perché puzza.

“Quante persone lavorano qua?”

“Centosei e altre 50 in due aziende terziste. Quest’azienda è storica, io sono qui da un anno circa e da poco abbiamo sottoscritto con le banche la ristrutturazione del debito.

La proprietà sta facendo di tutto per salvarla. La figlia del fondatore, unica erede rimasta in azienda, si sente sulle spalle quella responsabilità, anche sociale. Proprio come suo padre”.

Pensi che non solo ha impegnato i suoi (ampi) averi personali, ma ha anche accettato la clausola imposta dagli istituti di non toccare neanche un centesimo degli utili, per i prossimi 20 anni. Venti anni, capisce? Quale altro imprenditore farebbe questo?”

L’imprenditrice va avanti per la sua strada in silenzio, non fa sapere a nessuno la sua vera storia e tutti i suoi sacrifici, perché sa che la sua comunità ne ha bisogno

Così gli ho parlato di come su An Italian Tale raccontiamo di storie positive come quella di questa imprenditrice, ma il consulente mi fa: “l’imprenditrice va avanti per la sua strada in silenzio, pensi che nessuno conosce la sua vera storia e tutti i suoi sacrifici, perchè è fatta così, è riservata”.

Lo so, forse sto andando contro la volontà di questa imprenditrice, ma io la sua storia l’ho voluta raccontare lo stesso, perché questo incontro mi ha cambiato, perché mi sono ricordato del motivo per il quale amo così tanto il mio lavoro.

La startup che migliora l’impresa che già c’è.

Le PMI italiane sono cosa diversa da quelle francesi o tedesche. Non solo per numero, ma per approccio. Un imprenditore italiano, uno che è partito dallo scantinato di casa sua puntando tutto sulla propria fatica, non è come un imprenditore della Nuova Zelanda. Per il primo l’azienda ha un valore del tutto diverso da quello del secondo.

L’imprenditore italiano fa un pò di fortuna e ci compra la casa, a volte una bella macchina. Pensa alla moglie ed ai figli: vuole dare loro una vita migliore. Le cose vanno bene, e l’imprenditore italiano fa le cose diversamente dai suoi omologhi del resto del mondo.

Si accontenta di quello che ha, e inizia a pensare agli altri. Perchè l’imprenditore italiano non si stacca facilmente dalla terra in cui è nato, non volta le spalle ai suoi amici, ed alla gente della comunità in cui vive. Dà una mano alle maestre del paese, sostiene la squadra di calcio dell’oratorio, si prende cura del figlio orfano di un suo vecchio compagno di scuola.

Lo fa in silenzio, perché gli viene dal cuore e ci tiene a rendersi utile.

La storia dell’imprenditrice conciaria mostra che se ti pari gli occhi e imbracci la bandiera del “basta col vecchio, vogliamo solo startup” stai sottovalutando questi aspetti. Non stai buttando a mare solo un pò di capitali, ma un sistema sociale invisibile che tiene a galla l’intero Paese. Stai buttando a mare storie positive che raccontano un mondo troppo spesso dato per scontato.

Vista in questa ottica, viene da ritornare sui nostri passi per ripartire con uno sguardo diverso. Business globale, green economy, digitalizzazione. Questi sono i temi caldi con i quali l’industria italiana si deve confrontare. Su questi fronti c’è tantissimo che può essere fatto, ed i giovani sono i promotori naturali di un cambiamento quanto mai necessario. La sfida allora è questa: creare la tua startup dentro un’azienda di 50 anni. Te la senti?