La fattoria di Dario

In Imprenditori

Era una serata di luglio quando Dario ci ha parlato del suo progetto per la prima volta.

Tornavamo da una intensa (e caldissima!) giornata trascorsa in Expo. Eravamo distrutti – i nostri compagni di viaggio in metropolitana erano quasi tutti addormentati – ma Dario sembrava non sentire la stanchezza: era cosi entusiasta, mentre ci raccontava della sua campagna, del terreno di famiglia, del sogno di suo padre e dei progetti per il futuro.

Dario ha 29 anni; è di Grumo Nevano, un paese in provincia di Napoli. Laureato da un anno in medicina veterinaria, e con diverse esperienze lavorative alle spalle, la scorsa estate si trovava a Milano per frequentare un corso di specializzazione. Affascinato dalla grande città, ma non al punto da pensare di rimanere a cercare lavoro qui, come tanti suoi colleghi del Sud Italia. Una volta terminato il corso, infatti, sa di voler tornare a casa e cominciare a lavorare seriamente al suo progetto: realizzare un’azienda agricola.

Dario ci spiega che la sua famiglia ha sempre avuto a disposizione un appezzamento di terreno e una piccola casa in campagna. Fino a un po’ di tempo fa, era suo padre a occuparsene, gestendo il vigneto in maniera del tutto “amatoriale”. Purtroppo, dopo la sua prematura scomparsa, la proprietà è rimasta abbandonata per un po’. Finché non ha preso in mano la situazione, decidendo non solo di tornare a occuparsi della campagna, ma anche di trasformare quello che era un hobby in una vera e propria attività lavorativa.

È passato un po’ di tempo da quella afosa serata di luglio. Le foto postate  quotidianamente da Dario sui social ci fanno capire che quello che ci aveva raccontato non era frutto di una “passione” passeggera (chissà, magari dettata dalla mancanza temporanea di un lavoro, come avevamo pensato inizialmente): il nostro amico sta lavorando davvero seriamente al suo progetto!

Quando lo sentiamo ci racconta che, dopo essere tornato a casa dall’esperienza milanese, si è messo subito all’opera, dedicandosi alla coltivazione degli alberi da frutto. A breve, impianterà un nuovo vigneto e forse continuerà con gli ulivi.

Ha prodotto marmellate e conserve sott’olio, che ha cominciato a vendere nei numerosi mercatini locali. Ha acquistato le galline ovaiole (allevate esclusivamente a terra, ci tiene a precisare). E quando le risorse economiche lo permetteranno, gli piacerebbe cominciare ad allevare le capre, o forse costruire un apiario, nel piccolo bosco che gli ha lasciato in eredità suo padre.

Dario ci racconta tutto questo con grande entusiamo; attraverso le sue parole, percepiamo la grande passione che sta mettendo in questo progetto. Elemento fondamentale, del resto, che lo ha spinto a investire risorse e competenze nella sua terra d’origine, in un’inizativa che non prevede solo la crescita – professionale ed economica – personale, ma anche la valorizzazione e la riqualificazione territoriale.

Anche se ancora in fase embrionale, infatti, il nostro giovane agricoltore ha molto chiari i principi secondo i quali vuole condurre la sua attività, riassumibili in una parola: sostenibilità.

Che si traduce in rispetto per l’ambiente: anche se non si può (ancora) parlare di produzioni biologiche, nel suo campo vengono utilizzate solo sostanze naturali, e gli animali sono allevati nel pieno rispetto del loro benessere. Che è identità territoriale, perché la tipicità della produzione è per lui un fattore fondamentale. Che è profitto: Dario non produce solo per l’autoconsumo, ma anche per la vendita, come dimostrato dai piccoli mercati locali ai quali fino ad ora ha partecipato, promuovendo le sue prime produzioni. Che è “multifunzionalità”: dietro tutto questo lavoro, infatti, c’è il sogno di arrivare a realizzare una vera e propria fattoria didattica, per affiancare – alle attività di produzione tipiche dell’azienda agricola – un servizio di accoglienza, educazione e formazione.

“Voglio allevare solo razze autoctone e coltivare prodotti locali. Tutto quello che produco dovrà parlare di questo territorio”.

Ritorno alla terra: favola o vera opportunità?

Il racconto di Dario ci ha fatto pensare a un fenomeno del quale, negli ultimi anni, si è parlato molto: il “ritorno alla terra”. Stando a quanto riportano diverse ricerche, sono tanti i giovani che oggi decidono di fare dell’agricoltura il proprio lavoro. “Crisi: è fuga verso la campagna”,  “Contadini 2.0”, “Ritorno alla terra”: sono alcune delle espressioni che, negli ultimi anni, abbiamo spesso sentito per indicare un fenomeno di non facile interpretazione.

Secondo alcuni, infatti, saremmo di fronte a una sorta di “green-dream”: il ritorno alla campagna come opportunità, determinato dalla crisi economica e dalla difficoltà nel riuscire a trovare un’occupazione stabile. In alcuni casi, si tratta anche della risposta all’esigenza di condurre uno stile di vita più genuino: l’agricoltura come rimedio “contro il logorio della vita moderna”, viene da pensare nel leggere il titolo di un comunicato di qualche tempo fa in cui si evidenziava come 3 giovani su 4 fossero infelici al lavoro e “fuggissero” verso la campagna.

Numeri del tutto in contrasto con quelli divulgati poco tempo dopo, nel 2014, dall’Istituto Nomisma che evidenziava come, tra il 2008 e il 2013, gli occupati in agricoltura fossero calati del 6% e, se si consideravano gli occupati under 24, il calo percepito era stato addirittura del 15%. Un dato che, se associato alla percentuale degli agricoltori under-35  (5,1% del totale) e a quella degli over-65 (37,2%) restituiva l’immagine di un settore anziano, con un ricambio generazionale molto lento: 14 lavoratori giovani ogni 100 anziani.

Nuovo cambio di rotta nel luglio del 2015: i dati pubblicati da Coldiretti riportavano, per lo stesso anno, un aumento del 12% degli under-35 occupati in agricoltura e, in generale, un aumento dell’interesse per il settore, confermato dall’aumento di studenti nei corsi di laurea in materie agrarie, dalla crescente disponibilità a svolgere lavori estivi nei campi, dalla diffusione degli orti urbani, dallo sviluppo di micro-imprese e start-up che puntano sull’innovazione nel settore.

ciliegie

Una nuova generazione di agricoltori 

Insomma: un fenomeno di difficile lettura (anche perchè parlare di impresa in agricoltura è certamente diverso dal parlare di “occupati nel settore”). Errata interpretazione dei dati? Eccessiva retorica?

In ogni caso, al di là dei numeri non proprio omogenei, quello che è interessante osservare è la tipologia di questi “nuovi” agricoltori.

Una generazione di imprenditori agricoli caratterizzati, rispetto ai loro predecessori, dal bagaglio di competenze che portano con sé.

Giovani il più delle volte laureati, che hanno avuto esperienze di lavoro, che usano la tecnologia – in particolare il web – per pubblicizzare e commercializzare i propri prodotti. Che sposano la filosofia della sostenibilità (spesso dedicandosi, tra l’altro, a produzioni biologiche) e che conoscono il significato della parola “multifunzionalità”, ampliando l’offerta dell’attività agricola alla fornitura di servizi di tipo turistico ed educativo (si pensi ad agriturismi, fattorie didattiche, agriasili ecc.).

villa

Innovare (anche) attraverso la tradizione  

Una nuova generazione di agricoltori che porta innovazione. Ma cosa vuol dire questo esattamente?

È necessario premettere che il concetto di innovazione in agricoltura è piuttosto complesso, e coinvolge una moltitudine di aspetti. Innovare significa, ad esempio,  promuovere le tecnologie per un utilizzo più consapevole delle risorse (si pensi ai droni, impiegati nell’agricoltura di precisione), l’informatizzazione dei processi, l’estensione delle infrastrutture digitali alle zone rurali (molti territori, soprattutto nel Sud Italia, rimangono ancora isolati dal punto di vista della copertura della rete wi-fi). Fondamentale il tema delle strategie di comunicazione (spesso carenti) e della costruzione di reti fra agricoltori, che potrebbero essere utili per la promozione dell’eccellenza territoriale e lo scambio di risorse e informazioni.

Non bisogna dimenticare, tuttavia, che l’innovazione in agricoltura passa anche attraverso parole come tradizione, territorio, qualità. In un’intervista di qualche mese fa, Emilio Reyneri (Professore di Sociologia del Lavoro presso l’Università di Milano-Bicocca) ha evidenziato come l’innovazione portata oggi dai giovani agricoltori è senza dubbio costitutita dalle necessarie ed elevate competenze tecnico-scientifiche ma, al tempo stesso, anche dalla dimensione simbolico-culturale del prodotto, collegata al territorio, alla tradizione e alla bellezza del paesaggio.

Innovazione significa essere capaci di valorizzare questi aspetti, legandoli – ad esempio – a percorsi turistico-gastronomici, costruendo esperienze attorno al prodotto.

Del resto, se i prodotti di massa e di basso costo si fanno spazio sul mercato (peraltro spesso realizzati attraverso l’impiego di manodopera sottopagata, soprattutto d’immigrazione), esiste dall’altro lato una fascia medio-alta di consumatori sempre più interessata a produzioni di qualità, realizzate nel rispetto dell’ambiente, delle stagionalità, del territorio, della dimensione sociale, che potranno essere gestite dai nuovi imprenditori: colti, istruiti, innovativi. Senza dimenticare, inoltre, le potenzialità dei mercati esteri, molto interessati a questa tipologia di prodotti da noi spesso considerati ancora “di nicchia”.

È anche così, che possiamo davvero costruire il futuro della nostra agricoltura.