Il Professor G

In Ispirazioni, Personaggi

Cosa c’era di tanto speciale nel Professor G.? Semplice, ci ha chiesto di contare i granelli di sabbia.

Accadde infatti quanto segue. Il professor G. durante la prima lezione di matematica, un po’ per seria intenzione educativa, un po’ perché si divertiva ad osservare la reazione che normalmente segue l’esplosione di un ordigno, assegnò il seguente compito: “Calcolate per domani il numero di granelli di sabbia presenti in Italia”.

La classe rimase attonita. Qualcuno pensò ad una presa per i fondelli, altri si chiesero se, come in certi test di logica, si trattasse di un gioco di parole, altri ancora affermarono semplicemente che, in ogni caso, anche laddove possibile, non ne sarebbero mai stati in grado…ma nessuno, dico, nessuno ritenne fattibile ritornare il giorno seguente con una risposta alla mano.
I presunti furbi pensarono che l’indomani la richiesta sarebbe già caduta nel dimenticatoio, come se, data l’assurdità, l’avesse fatta un professore un po’ matto, per poi dimenticarsene…

Beh, io dico che la lezione più deflagrante dei miei primi 20 anni fu vedere un insegnante armato di santa pazienza riuscire a calcolare il numero dei granelli di sabbia italiani, senza nemmeno bisogno di una calcolatrice.

Dimostrando in un sol colpo due concetti.

Il primo: nulla, neanche la più assurda delle cose rimane inspiegabile per sempre. E tutto quello che viene prima è solo ignoranza.

Il secondo: con un po’ di astrazione, un pizzico di analisi e due calcoli di matematica esiste una soluzione per tutti i problemi.

Avevamo capito che da quel giorno la nostra giovinezza sarebbe stata un po’ più scossa, meno sorniona.

A volte, dei semplici granelli di sabbia sono sufficienti a cambiare la vita di uno studente. Basta che, come in questo caso, siano messi lì ad insegnare che non si può sempre far finta di niente. Non ci si può perennemente tirare indietro e lasciar fare a qualcun altro. Perché stavamo ricevendo un mondo in eredità, e se non lo avessimo voluto, avremmo dovuto compiere una scelta. E questo ci rendeva inesorabilmente consapevoli.

Il Professor G., un po’ per intenzione educativa, un po’ per innato scetticismo, era convinto che non occorreva insegnare l’ottimismo, ma il realismo. E con esso, l’indipendenza di giudizio.

Per l’ottimismo infatti bastava guardare un po’ di pubblicità ben fatta. Ma il realismo era difficile da spiegare, ed in effetti veniva puntualmente confuso col pessimismo.

Essere realisti è faticoso. Perché il realismo impone per sua stessa natura di seguire la realtà. E la realtà non è fatta di partiti, ideologie e comandamenti. La realtà è complessa, è varia, e difficilmente è inquadrabile in una teoria. Ecco perché il realismo è spesso abbinato ad una buona dote di coraggio e mal si sposa con la pigrizia intellettuale.

Ed ecco che allora le sue lezioni deviavano spesso verso strade sterrate di monologhi oscuri e illuminanti allo stesso tempo. I temi erano l’insicurezza mascherata da atteggiamenti futili, la superficialità del modo di pensare al nostro futuro ed ai nostri obiettivi, la facilità con cui ci arrendevamo all’opinione del momento, le miserie di una supposta classe dirigente, la decadenza di un paese.

Erano temi crudi, quasi surreali per un giovane abituato a nutrirsi di pane e televisione. Sapevo che esisteva la protesta, ma in cuor mio non riuscivo a vederla nelle manifestazioni di piazza, o nelle autogestioni. L’unica vera protesta che in quegli anni ’90 mi è capitato di vedere era quella nei monologhi del Professor G., e ora ne comprendo anche la ragione: era l’unica ad essere ripagata con lo scherno e la solitudine.

E’ stato infatti sempre un uomo tanto intelligente quanto solo.

Tra gli studenti destava sentimenti che oscillavano tra l’ammirazione incondizionata e il fastidio per aver mosso le acque placide, per essere andato a pescare dove non doveva.

Teneva un basso profilo tra gli insegnanti, non curava le pubbliche relazioni. Non gli interessavano. Nessuno sapeva dire molto di lui, se non citare qualche episodio eclatante che dimostrasse in maniera inappellabile che fosse un tipo strano. In realtà, nessuno voleva sbilanciarsi, per paura che dopo aver esternato un giudizio o pensiero, lui lo avrebbe prontamente smentito il giorno dopo.

Era impossibile catturarlo, e anche quando pensammo che si trattasse del solito irriducibile anticonformista, lui entrò in classe per spiegarci che, nonostante tutto, si era innamorato.
Innamorato? Era questo un concetto che poteva trovare spazio nei monologhi del Professor G. senza scadere nella banalità?

Quel giorno il Professor G., un po’ per intenzione educativa, un po’ per bisogno di trasparenza con i suoi studenti , ci raccontò, tra mille reticenze, come l’Amore si fosse aperto un varco nella sua vita, a sua insaputa, sorprendendolo. E lasciò intendere che certe cose andavano solo accolte, e lasciate scorrere nelle vene senza opporre alcuna resistenza.

Quel giorno l’Amore apparì come un sentimento alto e nello stesso tempo alla portata di tutti.
Fu la dimostrazione del suo stesso insegnamento: nulla, neanche la più assurda delle cose rimane inspiegabile per sempre. E tutto quello che viene prima è solo ignoranza.

A tutti coloro che svolgono il mestiere di educatori: abbiate sempre la consapevolezza che la vostra parola non è inerte, ma è sempre il seme di una reazione.

Il pubblico è vario e le risposte molteplici. C’è chi segue esattamente la strada indicata, chi rimugina per poi andare nella direzione opposta. C’è infine chi decide che quella parola non farà proprio parte della sua vita. Ma ognuno di essi, a modo suo, ha messo quel seme al centro di una decisione.

Questo sembrerà anche poco, ma è parte di quel poco che resta. E per questo, ha un valore inestimabile.