Una squadretta più forte della morte

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In 18 mesi gli HematItes, piccolo e perdente team di football di un liceo del Michigan hanno partecipato ai funerali di tre compagni uno dei quali suicida e poi hanno vinto il titolo. Ishpeming, 6.470 abitanti, sta da qualche parte nella penisola settentrionale del Michigan, lassù in alto, a otto ore di macchina da Detroit, in mezzo al niente. Jacopo Columbu, 17anni, studente del quarto anno al liceo scientifico Lorenzo Mossa di Olbia, ci è arrivato il 28 agosto all’interno di un programma di scambio scolastico. Siccome gioca a calcio, lo hanno subito messo a fare il kicker.

In 18 mesi gli HematItes, piccolo e perdente team di football di un liceo del Michigan hanno partecipato ai funerali di tre compagni uno dei quali suicida e poi hanno vinto il titolo.

Ishpeming, 6.470 abitanti, sta da qualche parte nella penisola settentrionale del Michigan, lassù in alto, a otto ore di macchina da Detroit, in mezzo al niente. Jacopo Columbu, 17anni, studente del quarto anno al liceo scientifico Lorenzo Mossa di Olbia, ci è arrivato il 28 agosto all’interno di un programma di scambio scolastico.

Siccome gioca a calcio, lo hanno subito messo a fare il kicker.

Le squadre della Ishpeming High School sono note con il nome di Hematites, un riferimento al minerale di ferro che fino agli Anni 60 aveva fatto la (relativa) fortuna della cittadina.

Quella di football è diventata importante da quando nel ’92, come professore di ginnastica e come coach, è arrivato Jeff Olson. Con una geografia che li costringe lontani da tutto, gli Hematites non possono attingere a grandi talenti: giocano nella settima divisione (su otto) del Michigan e mai a nessuno di loro un’università di Division I ha offerto una borsa di studio (al massimo qualcuno è stato preso in Division III).

Ma due anni fa hanno raggiunto la finale statale, perdendola con Hudson 28-26. Il quarterback era Daniel Olson, figlio del coach. Il suo ricevitore preferito si chiamava Derrick Briones.

Da quel momento, la storia degli Hematites è diventata un copione da film. E Jacopo ci si è trovato in mezzo.

Derrick è morto il 24 febbraio 2011, a 19 anni, per ragioni che non sono state mai rese pubbliche.

Daniel, che fin dalla prima adolescenza soffriva di disturbo bipolare, si è suicidato il 19 luglio di quest’anno. Anche lui aveva 19 anni. Mancavano due settimane all’apertura della stagione.

Papà Jeff ha deciso di rimanere al suo posto di coach – non per insegnare football, ma per aiutare i ragazzi a superare la morte di un altro di loro. «Voglio che parliate di Daniel», ha detto alla prima riunione con la squadra. «Che parliate della depressione. Che non abbiate paura della parola suicidio».

Ad ascoltarlo c’era anche Eric Dompierre.

Nato con la sindrome di Down, era lì solo perché la sua famiglia aveva combattuto per due anni contro la burocrazia scolastica che impediva, a chi avesse superato i 19 anni all’inizio dell’ultimo anno di liceo, di partecipare alle attività agonistiche. Eric è il kicker di riserva.

Alla prima partita, con un ampio vantaggio su Manistique High, coach Olson lo ha mandato in campo per trasformare il punto supplementare. Sbagliato.

Allora gli Hematites hanno fatto altri quattro touchdown, solo per dargli la possibilità di segnare. Al quinto tentativo ci è riuscito: l’hanno portato in trionfo.

Poi, il 5 ottobre, in un incidente d’auto, è morto Bubba Crowley.  Era uno dei migliori giocatori delle medie di Ishpeming, l’anno prossimo sarebbe entrato fra gli Hematites.

Per la terza volta in 18mesi, i ragazzi hanno partecipato al funerale di uno di loro. Sono tornati in campo. Hanno chiuso la stagione regolare 8-1, con come quarterback Alex Briones, il fratello di Derrick.

Ai playoff hanno vinto largo i primi tre turni e solo 8-7 la semifinale. Per il titolo hanno incontrato Loyola, che ha una mezza dozzina di giocatori contesi dalle università di Division I. La finale è stata giocata a Detroit, al Ford Field, casa dei Lions.

Il canale locale di Fox Sport ha trasmesso la diretta e il telecronista l’ha cominciata così: «Questa è una riedizione dello scontro fra Davide e Golia». Ha vinto Davide, 20-14.

Alla fine, coach Olson è crollato in ginocchio, in lacrime.

Articolo di Lanfranco Vaccari su Sportweek n° 48 del 22 dicembre 2012

Foto: Leonora Giovanazzi