Artigiani 2.0

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Il mercato interno non esprime una domanda sufficiente ad alimentare le imprese di casa. La pressione internazionale rende impossibile una competizione alla pari con paesi emergenti. Eppure, in questo quadro disagevole, si possono creare le condizioni ideali per lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale nuovo, capace di coniugare i punti di forza delle aziende minori con una capacità di ammaliare i mercati internazionali.

E’ quanto sta accadendo nel sottobosco produttivo d’Italia. Un ecosistema che sta dando spazio una nuova forma di imprenditorialità, fatta di gente creativa, appassionata e “digitale”: gli artigiani 2.0.

Impara l’arte e mettila da parte

Michele, un mio amico economista, mi ha girato i dati presentati a Roma nel corso della convention annuale Giovani Imprenditori Confartigianato.

Le 132 pagine che compongono il report, la cui lettura è vivamente consigliata, trovano una degna sintesi in performance economiche poco incoraggianti in tutta l’area euro e disoccupazione dilagante.

Detta in 2 righe, la situazione è questa: le ultime stime del Governo nel Documento di Economia e Finanza 2013 ritoccano al ribasso la dinamica del PIL (con un calo del 2,4% rispetto al 2012). Fanno peggio dell’Italia solo Grecia (-6,0%) e Portogallo (-3,7%). Sul mercato del lavoro la situazione non è migliore: secondo l’ultima rilevazione Eurostat di febbraio 2013 il tasso di disoccupazione destagionalizzato in Italia arriva all’11,6%, con una crescita di 1,5 punti percentuali nell’ultimo anno.

Dinamica del tasso di disoccupazione destagionalizzato per l'UE a 27

La situazione fotografata nel 2012 non migliorerà i certo nel 2013: il tasso di disoccupazione nell’Area euro crescerà ulteriormente nel 2013 arrivando al 12,2% della forza lavoro. In questa situazione, però, c’è un dato inaspettato: una netta contrapposizione fra laureati senza impiego e professioni artigiane di difficile reperimento.

Le statistiche parlano chiaro: la struttura economica del vecchio continente e del bel Paese sembrano avere un elevato bisogno di “gente con un mestiere” che, a quanto pare, non si trova. Abbiamo fatto qualche ricerca, e siamo approdati ad un sito web che raccoglie decine di storie di giovani (quasi sempre laureati) che hanno preferito iniziare ad usare le mani come primario strumento di lavoro. A sentir loro, le proiezioni degli osservatori economici sono pienamente confermate. C’è materiale per riempire un’intera enciclopedia. La curiosità ha preso il sopravvento ed abbiamo voluto incontrare personalmente chi sta sperimentando sulla propria pelle la rivoluzione dell’artigianato 2.0. Si tratta di Marco Ripa,  fabbro-designer che sta conquistando l’europa a colpi di creatività e saper fare (e comunicare).

[INTERVISTA] Marco Ripa – Jazz, Ferro e creatività

Premetto che sono di parte. Da quando ho conosciuto Marco ne sono diventato lo sponsor più entusiasta. Amo i suoi oggetti, amo il suo stile, amo il suo modo di vedere le cose. Mi piace al punto che ho deciso di parlarne su AIT. Perciò siate pazienti con me se trovate qualche esagerazione: è fatta in buona fede.

D’altronde l’officina di un fabbro non è certo come un apple store sulla fifth avenue a New York. Non ci sono scale di cristallo e superfici satinate su cui mettere in mostra l’ultima “one more thing”.

In compenso c’è polvere. Tanta. E la polvere ha quell’odore inconfondibile del sudore con cui viene costruito ogni oggetto che hai intorno. Nemmeno l’officina di Marco Ripa fa eccezione. Anche se gli oggetti che vende in tutto il mondo sembrano tutto fuorché intrisi di quella polvere. Forse sarà perché Marco ama il Jazz, oppure perché si circonda di letture sofisticate. O forse è solo un caso. Fatto sta che questo paradosso esprime al meglio la portata della storia che stiamo raccontando. Ed è proprio questo paradosso che voglio raccontare, riproponendo i pilastri su cui Marco sta costruendo il proprio successo.

Saper rischiare

“Dopo tanti anni passati a lavorare come dipendente ho capito che era arrivato il momento di fare un passo. Non c’entrava lo stipendio o qualche banale questione materiale. In gioco c’erano i miei sogni, e la mia voglia di portare un contributo al mondo del design.”

Così, in un momento in cui nessuno si sognerebbe di lasciare un lavoro sicuro, Marco saluta tutti, si indebita fino al collo e apre la sua Art&Craft. Qui Marco dà forma alle proprie idee. Che sono essenzialmente oggetti unici d’arredamento in ferro e acciaio. Roba tipo librerie, tavoli, porta ombrelli o riviste. Oggetti che abbiamo intorno ogni giorno, eppure oggetti talmente belli da costringermi ad includere un’intera galleria fotografica: il mio vocabolario non basta, ci vogliono degli scatti.

Saper fare buona comunicazione (fin dal primo giorno)

Questi oggetti, questa espressione del migliore HAND-MADE in Italy, come dice Marco, oggi fanno bella mostra di sé nelle case di tantissimi amanti del design in tutto il mondo.

“Merito dell’ecommerce, il modo migliore per proporre i mio stile ad un pubblico che altrimenti non avrei mai raggiunto. Investire in comunicazione è stato il primo passo per costruire un’identità di prodotto che rendesse Art&Craft altamente riconoscibile. Grazie a quell’investimento, mi sono potuto proporre al mercato nord-europeo ed americano in maniera credibile”.

Sapersi integrare con teorici

“Il prossimo passo è lavorare sempre di più con giovani designer. Ho bisogno di partner che compensino le mie lacune progettuali, facendo simulazioni, calcoli e rendering in grado di farci vedere le cose prima di iniziare a farle, in modo da risparmiare tempo e denaro”.

Saper leggere lo scenario complessivo

“Spesso mi incazzo con i miei colleghi che non ne vogliono sentir parlare di riconversione produttiva, e di integrazione con giovani neolaureati dalle nostre università. Pensano che questa crisi finirà. Ma si sbagliano. Perché questa crisi non è fatta per finire, ma per costringerci a cambiare. Per costringerci a sistemare i pezzi arrugginiti del nostro modo di fare impresa. Ci sono opportunità incredibili per chi decide di usare in maniera nuova le proprie competenze produttive distintive.”

L’insegnamento di Marco Ripa

In totale controcorrente, Marco la polvere dalla vita non la scarta, anzi, l’abbraccia  fino a diventarne amico, a desiderarla ogni giorno di più.

Marco Ripa al lavoro

Marco ci tiene a farti vedere le sue mani, che portano i segni e la storia di ogni oggetto che costruisce.

Marco ha chiare le sue competenze distintive, e non vuole essere null’altro che un bravo artigiano. Al tempo stesso, però, comprende che i tempi richiedono un approccio nuovo per continuare a proporre i propri manufatti. Dunque si apre al confronto con chi può apportare nella sua officina il sapere teorico dell’accademia. Dunque, si apre alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, lavorando al contempo per presidiare efficacemente i canali distributivi web.

Quanti altri artigiani hanno la stessa consapevolezza?

Quando il saper fare incontra il saper comunicare. Prospettive per il nuovo artigiano.

L’esperienza di Marco Ripa, fabbro atipico, mette in luce i presupposti sui quali un nuovo artigianato può nascere e svilupparsi. Se la manualità ed il genio creativo sono elementi imprescindibili da cui partire, è altrettanto evidente che non possono essere messe in secondo piano competenze per troppo tempo considerate “accessorie”, quali quella della comunicazione e del marketing.

A livello di modellizzazione teorica, la diade “saper fare – saper comunicare” sembra un fattore imprescindibile per il successo della piccola impresa artigianale 2.0. Ne ha parlato fra gli altri anche Stefano Micelli, docente all’Università Cà Foscari di Venezia. Nel suo libro “Futuro Artigiano”, Micelli dice a chiare lettere di “avvicinare i laureati, magari in marketing e comunicazione, alle attività del settore manifatturiero. Mettiamo insieme creatività e capacità di comunicare in senso lato, e avviamo start up che possano dare nuovo lavoro, un patto nuovo che generi valore. Non carriere al ribasso, ma quale vero e proprio rilancio”.

L’idea è tutto sommato semplice, e tra i banchi delle università aleggia già da un bel po’. La domanda interna (diciamo quella del “sistema Italia”) da sola non riesce più a trainare una produzione sufficiente per garantire la prosperità del sistema economico nazionale. La concorrenza sul fronte della mass-production è fin troppo alta e non contrastabile a causa della struttura dei costi cui le imprese italiane sono sottoposte. Si deve puntare su altro.

Eccellenza, nicchie, unicità. Queste tre parole, troppo spesso usate senza troppa cognizione di causa, trovano perfetta sintesi nella maestria del lavoro artigiano. Quello che manca, negli artigiani 1.0, è la capacità e l’attenzione giuste nel far sapere al mondo che questa maestria c’è, e che magari è reperibile in una piccola bottega di provincia, piuttosto che in uno spazio ecommerce accessibile da qualsiasi angolo del globo, 24 ore su 24.

Gli artigiani 2.0 hanno fatto semplicemente questo passo. Le nuove generazioni di makers stanno portando la loro natività digitale all’interno di tecniche produttive antiche. Innovano nel solco di una tradizione alla quale rimangono fedeli. Concretamente.

Ora questa tendenza deve essere messa a regime, diventando modello. Sarà allora che si creeranno gli spazi per innestare una nuova economia. Fondata su piccola dimensione produttiva, ma con un respiro commerciale internazionale.