Mi sono innamorata di una sedia

In Ispirazioni, Riflessioni, Startupper

Questi sono gli attrezzi del mestiere che potete trovare nel collaboratorio

Gli oggetti sono utili, apportano bellezza ad un luogo, fungono da accumulatori di ricordi…ci sono oggetti che possiedo da anni e che amo ancora. Non mi interessa che siano vecchi o fuori moda (ma poi, cos’è la moda?). Continuo a portarli con me, mi definiscono, mi qualificano.

Non sono vanitosa, ma la bellezza degli oggetti non mi è mai stata indifferente. Ad attrarmi non è l’essere o meno in linea con l’estetica promossa dall’ultimo giro di sfilate. Quello che invece riesce a far scattare in me una passione per taluni oggetti è la particolarità del materiale di cui sono fatti e l’accuratezza della manifattura. Ecco perché ho una repulsione abbastanza esplicita verso un certo Made in China.

Lo so, sono una snob.

Il consumare per me è un atto di responsabilità! E lo respingo quando si trasforma in comportamento casuale da usare come pillola anti-stress

Questi sono gli attrezzi del mestiere che potete trovare nel collaboratorio
Questi sono gli attrezzi del mestiere che potete trovare nel collaboratorio

Un tavolo costruito dai ragazzi del Collaboratorio a partire da materiale di scarto perfettamente recuperato

Ma siamo certi che essere snob rispetto a quello che acquistiamo sia riprovevole?

Il consumare per me è un atto di responsabilità! E lo respingo quando si trasforma in comportamento casuale da usare come pillola anti-stress.

Consumare…si, siamo consumatori. E’ una realtà.

Molti di voi saranno convinti di essere padroni delle proprie scelte di acquisto, e sono parimenti convinti che esse siano volte al soddisfacimento dei bisogni, necessario per raggiungere la felicità. Non un consumare fine a sé stesso quindi, ma un consumare “necessario”.

Collaboratorio di Riuso Creativo

Bene, devo informarvi che non è così che funziona.

Non è la soddisfazione dei nostri bisogni a muovere il mercato ma la necessità di continuare a consumare. La verità è che nella società dei consumi a nessuno interessa della vostra felicità.

Quello che interessa è che continuiate a pensare di aver bisogno di qualcosa per raggiungerla. Ossia, la moltiplicazione dei desideri, con la grande illusione che siate voi a decidere come e quando soddisfarli.

Zygmunt Bauman, uno dei sociologi in cui per interesse personale mi sono imbattuta, parla di feticismo della soggettività” come lelevazione dellacquirente al rango nobile di soggetto sovrano, non contestato né compromesso di fronte alla merce, presentata come materia totalmente docile e obbediente. Concetto gratificante, se non fosse che, a totale insaputa dell’acquirente, la netta separazione tra cose da scegliere e coloro che le scelgono si confonde e si annulla: nella società dei consumi nessuno può diventare soggetto senza prima trasformarsi in merce…

Questo tema, si è già capito, mi sta molto a cuore.

Lo avevo detto alla redazione di AiT quando mi chiesero di raccontare la storia dei ragazzi del Collaboratorio di Riuso Creativo…e a quanto pare (per una volta) non sono da sola ad affrontare a muso duro il tema del consumismo.

L'insegna all'ingresso del Collaboratorio
L’insegna all’ingresso del Collaboratorio

Il Collaboratorio di Riuso Creativo è un marchio creato dall’associazione di 4 giovani professionisti che hanno messo in comune le loro competenze nell’ambito della lavorazione artigianale di oggetti di uso quotidiano, soprattutto legati al tessile ed all’arredamento.

Parlo di Daniela, anima dolce e femminile del gruppo, con specializzazione in Fashion Design; Marco e Luca, eclettici fratelli, falegnami per mestiere e per tradizione; Valerio, ingegnere appassionato di temi ambientali con l’attitudine a guardare lontano…

Forse nel loro caso, più che di lavorazione artigianale, bisognerebbe parlare di ri-lavorazione artigianale: la prerogativa di questi professionisti è infatti quella di partire da oggetti considerati di scarto, che hanno tuttavia le caratteristiche qualitative per essere riutilizzati ancora.

Su questi oggetti vogliamo permetterci il lusso di poter sbagliare, e ricominciare da capo

Quello che accade al Collaboratorio è la condivisione di oggetti e di competenze che, combinati secondo un processo creativo, portano a nuova vita, e a nuovo uso talvolta, oggetti che sarebbero stati destinati alla discarica:Non ci interessa lavorare su ciò che ha già in partenza una ulteriore chance di riutilizzo – si pensi a quanto nel mondo del design abbia preso piede lutilizzo del pallet come materiale di partenza per realizzare i più disparati oggetti di arredamento – bensì su quello che senza di noi accrescerebbe il ciclo di smaltimento dei rifiuti. Questo è lo scopo che nobilita il nostro lavoro.

Il team di Collaboratorio
Il team di Collaboratorio

E Bauman a questo proposito avrebbe molto da dire: ”Nelle modalità consumistiche di curare la disaffezione [dal consumo] svolge un ruolo centrale l’eliminazione degli oggetti che la provocano […] Sono l’elevato tasso di scarto e l’abbreviarsi costante del tempo che trascorre tra il momento in cui il desiderio sorge e il momento in cui esso svanisce a mantenere vivo e credibile il feticismo della soggettività […] La società dei consumi è impensabile senza una florida industria dello smaltimento rifiuti. L’avvento del consumismo inaugura l’era dell’obsolescenza programmata”.

Sembra che, finché le cose stanno così, di materia prima ce ne sia in abbondanza per l’attività del Collaboratorio… e viene pure da chiedersi se la società dei consumi rappresenti per esso più una benedizione che una disgrazia.

Provate però a pensare quanto la logica alla base dell’acquisto sia  cambiata nel tempo. Ad esempio, focalizzate il caso dei componenti d’arredamento, una volta ideati come status di ricchezza, pregiati e solidi all’interno delle nostre case: oggi  l’arredamento diventa quasi “stagionale”. Muta lo stile, cambia il colore, ergo si presta ad un’accelerazione del suo ciclo di vita.

Se questo è il ritmo che si intende sostenere è ovvio che il mercato dovrà fornire una motivazione innanzitutto psicologica, ma anche economica e qualitativa per spingere ad un nuovo acquisto.

Ecco quindi che i materiali provenienti dai consumi di oggi risultano poveri, vuoti, senza personalità” sentenzia Marco.

Quando si dice che è difficile tirare fuori il sangue da una rapa

Non a caso infatti i lavori realizzati dal Collaboratorio partono spesso da pezzi che arrivano dalle soffitte delle nostre case.

Oggetti che appartengono all’epoca in cui c’era attenzione per la qualità e la durevolezza. Un’epoca in cui la logica dell’”aggiustare” non era stata ancora soppiantata da quella del “sostituire”.

E’ stato interessante incontrare Daniela, Valerio, Marco e Luca. Mi hanno fatto riflettere su come il loro modus operandi cambi la relazione che i clienti, ma anche loro come produttori, instaurano rispetto all’oggetto. Come pure la diversità della relazione tra cliente e produttore.

Uno dei progetti di Collaboratorio. Una libreria dal design innovativo.
Uno dei progetti di Collaboratorio. Una libreria dal design innovativo.

Tanto per cominciare: li chiamiamo clienti per convenzione, ma Valerio ritiene che non possono essere definiti tali coloro che di fatto, comprando, stanno prendono in prestito…per riportare indietro fra qualche anno magari, in cerca di una nuova miglioria.

Il “cliente” può essere (ma non necessariamente lo è) il precedente possessore dell’oggetto. Spesso capita che egli arrivi presso il Collaboratorio semplicemente con l’intenzione di disfarsene. Ma a lavoro finito se ne innamora di nuovo e lo riprende indietro.

Cosa è accaduto?

Nel mezzo c’è un complesso processo creativo, che parte dalla fantasia e dall’emotività di Daniela, Valerio, Marco e Luca.

L’oggetto che ricevono ha una forma, un uso e una storia precedenti.

Questo rappresenta da un lato un vincolo al lavoro creativo e manuale. Ma dall’altro lato, spiegano i ragazzi, è anche uno stimolo: ciò che viene messa in gioco infatti è l’abilità ad esaltare il legame tra il passato ed il presente. Altrimenti l’oggetto perde di senso.

Il punto è che non si tratta di mettere insieme materie prime indistinte ed anonime. Il gioco sta nel non perdere il significato che l’oggetto ha avuto nel passato, pur caricandolo di freschezza e di stile.

La relazione con chi ha posseduto l’oggetto e la conoscenza della sua storia e delle sue motivazioni diventano quindi fondamentali per la buona riuscita del lavoro. O semplicemente sono fondamentali per non snaturarlo in fase di lavorazione, dando luce a qualcosa che sia comunque familiare e riconoscibile per la sensibilità di chi lo acquista senza averlo posseduto prima.
Il lavoro sull’oggetto si sviluppa dall’incontro di idee, elaborate e selezionate senza fretta.

Si guarda cosa c’è al momento, ci si lascia ispirare da quello che può aggiungersi successivamente. Si ascoltano gli stati d’animo. Ci si confronta. Si aspetta il momento giusto. Che magari arriva mentre si sta lavorando su qualcos’altro. Un mobile, una stoffa, dei vecchi giornali. Sembra di comporre un puzzle…” dice Daniela.

Il rapporto che i ragazzi instaurano con il prodotto finito è materno, tanto che provano quasi dispiacere ad allontanarsene.

Il desiderio è quello di trovare un acquirente che abbia per esso la stessa passione di chi lo ha realizzato, essere sicuri che finisca in buone mani…

In effetti la passione è fondamentale, perché altrimenti non si sceglierebbe di acquistare questi oggetti dalle forme strane e dai colori audaci.

Io li trovo ricchi, belli, significativi. Credo che sia perché riescono a toccare le corde sensibili del ricordo. Sembrano capaci di produrre un colpo di fulmine, la vista di qualcosa che si insinua nelle viscere e, senza fornire spiegazioni razionali, mette in moto un sentimento e un desiderio di esclusività e di possesso. Quello che inaspettatamente ti fa esclamare “Perbacco, mi sono innamorata di una sedia!